Il 13 marzo 2020, l'Italia entra in lockdown. Milioni di persone si trovano di fronte a una scelta: rispettare le restrizioni o agire come se nulla fosse? Non si trattava solo di legalità, ma di responsabilità. Le mie azioni potevano salvare vite o metterle a rischio. Improvvisamente, la filosofia smetteva di essere astratta e diventava urgente, quotidiana, incarnata.
In quei giorni ho riflettuto molto su un concetto che studio da anni: l'etica della responsabilità. Un'etica che non guarda solo alle intenzioni (ero in buona fede?), ma alle conseguenze (cosa ha prodotto la mia azione o non-azione?). Un'etica che ci chiede di rispondere non solo di ciò che facciamo, ma anche di ciò che non facciamo pur potendo.
"In un'epoca di interdipendenza planetaria, ogni scelta privata ha ripercussioni pubbliche. L'indifferenza non è neutralità: è complicità."
— Vinicio Morgoni
Due Etiche a Confronto
Il sociologo Max Weber distingueva tra etica della convinzione (Gesinnungsethik) ed etica della responsabilità (Verantwortungsethik). La prima giudica la bontà di un'azione in base alla purezza dell'intenzione: "Ho fatto ciò che sentivo giusto". La seconda valuta le conseguenze prevedibili: "Cosa ha prodotto realmente la mia azione?"
Entrambe hanno dignità, ma la seconda è più esigente: ci obbliga a pensare alle ricadute delle nostre scelte, anche quando siamo animati dalle migliori intenzioni. Un genitore iperprotettivo "ama" il figlio, ma può generare fragilità. Un leader carismatico "crede" nel suo progetto, ma può portare un'azienda al fallimento. L'intenzione non basta.